[Disclaimer: le informazioni e le dichiarazioni riportate provengono da un editoriale pubblicato da Polygon, troverete l'originale alla voce "fonte".]
La storia che stiamo per raccontarvi risale al 2013 quando, durante la Game Developer Conference, Hideo Kojima annunciava ufficialmente Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e Tom Sekine dallo stesso palco l'apertura a Los Angeles di un distaccamento di Konami. Si trattava della Kojima Productions L.A., lo studio che ha dato vita a Metal Gear Online per intenderci. KojiPro si sarebbe trovata gomito a gomito con competitor di tutto rispetto; Insomniac, Santa Monica, Blizzard, Naughty Dog solo per fare alcuni nomi. Sappiamo poi del triste epilogo della storia. Arrivò il 2015, The Phantom Pain non era ancora sugli scaffali che Konami era già in procinto di staccare la spina a tutto.
Ma come è stata la - breve - vita di KojiPros Los Angeles?
L'inizio della fine.
Sotto la direzione di Tom Sekine, il primo anno è stato impiegato per apprendere come sfruttare al meglio il Fox Engine. Il clima che si respirava era quello di una gerarchia non così stringente. Il lavoro sul Fox Engine e il desiderio di distaccarsi dall'immagine di Metal Gear come giochi esclusivamente in single player si sono tradotte in Metal Gear Online.
"L'idea di Konami era quella di risparmiare le risorse di Tokyo perchè si concentrassero sulla parte single player, a noi il compito di realizzare un multiplayer online. Sembravano intenzionati a investirci tempo e denaro" avrebbe rivelato un dipendente che ha scelto di rimanere anonimo per evitare noie legali.
Insomma sulla spiaggia di Los Angeles si respirava aria buona anche se "la storia ci insegna che le collaborazioni tra studi americani e giapponesi non hanno mai funzionato fino in fondo. Progetti a lungo termine partiti con le migliori intenzioni sono naufragati contro problemi di comunicazione e differenze culturali" spiega Victor Rachel, un programmatore in forza a KojiPro L.A. "in ogni progetto simile a cui ho partecipato sopraggiungono frizioni e incomprensioni. C'è un cortocircuito per culture e aspettative."
Poteva essere diverso per KojiPro?
L'ottimismo c'era, alimentato dal fatto che Konami pareva credere fermamente nel progetto, dal fatto che si stesse lavorando a un brand come Metal Gear, dalla personalità di Kojima e dall'esperienza di Sekine, anche lui veterano del settore. Nel 2013 lo stesso Kojima dichiarò che non vedeva "due studi diversi, ma un solo studio con due sedi che collaborano tra loro come fossero una cosa sola. Insieme realizzano la vera Kojima Productions." Secondo alcuni ex dipendenti dello studio americano però non si è andati sempre d'amore e d'accordo.
Nonostante per Robert Peeler - ex community manager - l'ambiente fosse stimolante e produttivo, secondo Rachel non era così, anzi: "non ci sembrava di esser produttivi, al contrario. Volevamo realizzare giochi ma semplicemente non ce li lasciavano fare." Una delle cause, secondo il dipendente rimasto anonimo è da ricercare nalla gestione e nella natura stessa del Fox Engine: "Molto avanti rispetto ai suoi tempi, bellissimo da vedere ma non potevamo assolutamente apportare modifiche di alcun tipo. Erano necessarie competenze e permessi che Konami non ci aveva fornito."
Una situazione sinistra.
Il racconto degli ex dipendenti va ben oltre: richieste specifiche da parte di Konami che pretendeva una gerarchia definita in luogo della struttura orizzontale che KojiPro L.A. si era data, alcune falle nel gameplay di MGO, nella sicurezza dei sistemi, nella gestione dei server di gioco e tanto altro. L'aria iniziò a farsi presto pesante e tanti decisero di portare i loro curriculum altrove. KojiPro L.A. si trovò quindi nella paradossale situazione di non riuscire a trattenere i propri dipendenti e tantomeno assumerne di nuovi nonostante la forza stessa del suo nome. Le voci circolano, anche a Los Angeles.
Alla fine della sua esistenza KojiPro L.A. contava meno di 50 dipendenti. Più di metà dello spazio degli studi era vuoto. Scrivanie libere e inutilizzate in una struttura nata per espandersi e ospitare attività frenetica ma che si stava trasformando in una realtà fantasma.
A peggiorare l'umore ci pensarono le tante voci circolate nel 2015 alimentate dai report di Nikkei (molte si sono poi rivelate infondate) sul trattamento che Konami stava riservando ai colleghi dello studio nipponico. Nonostante le storie di abuso di potere, di estremo controllo o di dipendenti rimproverati pubblicamente fossero false, negli USA qualche critica si stava muovendo: "Sembrava di avere a che fare con quel nonno che non sa bene come funzionino internet o i PC, i sistemi di sicurezza, le pratiche, persino il design del nostro intranet sembravano fermi ai primi anni '90. Nulla di grave, intendiamoci, ma era comunque molto frustrante vivere così" raccontano gli intervistati. Le cose sarebbero davvero precipitate più avanti ovvero nel marzo del 2015 quando le voci di un possibile abbandono da parte di Kojima si iniziarono a fare più concrete.
Su entrambi i fronti la situazione era incerta e l'unica rassicurazione proveniente da Kojima era la sua ferma intenzione di portare a termine The Phantom pain "succeda quel che succeda" avrebbe detto durante un meeting.
Entusiasmo sotto le scarpe.
Come prevedibile il morale iniziò a scemare anche per il team che, dal versante occidentale, stava provando a tenere insieme i pezzi che Konami cercava in qualche modo di separare. Tra gli altri fatti del 2015 che molti di voi sicuramente ricorderanno anche il cambio di nome delle due Kojima Productions: a Tokyo ribattezzata Team 8, mentre la divisione californiana assumeva un non meno generico Konami Los Angeles Studios. Quando oramai era chiaro che Kojima avrebbe lasciato definitivamente la compagnia dopo l'uscita di The Phantom Pain, Los Angeles venne abbandonata a se stessa, l'incertezza generale era l'unica certezza che aleggiava tra le mura degli studi. Sempre lo stesso anno, ma in ottobre, giunge a compimento anche il divorzio tra il game designer e la compagnia che può finalmente gettare la maschera sulla propria intenzione di espandersi nel mondo del mobile gaming.
Furono molti a migrare verso gli studi concorrenti: Respawn, Infinity Ward o altri lidi, ma qualcuno che ancora credeva nella possibilità di mandare avanti la baracca c'era. Nei pochi rimasti - tra loro anche il sound designer Mario Lavin - si diffuse la convinzione che se avessero presentato delle buone idee per nuovi giochi lo studio si sarebbe potuto salvare (non di certo il buon nome dello stesso, oramai bruciato). Sulla scrivania di Sekine arrivarono molte idee da sottoporre alla compagnia centrale. Intervistato in merito, Lavin non ha voluto enunciare alcun titolo ma una manciata di nomi è stata invece confermata dagli altri intervistati.
Puntare ai nomi storici.
Nuovi capitoli per Bomberman, Contra o Silent Hill, Sekine vide queste idee partire dai suoi collaboratori e infrangersi sul muro dei "No" alzato da Konami. Vennero posti al vaglio anche due giochi spin-off da ambientare nel mondo Metal Gear: un gioco a tema parkour con protagonista il giovane Solid Snake - una specie di Mirror's Edge ambientato nei centri di addestramento FoxHound per intenderci - ma anche un MOBA con molti personaggi della serie come protagonisti - l'espediente narrativo era che ciò che accadeva a schermo fosse in realtà frutto dell'immaginazione di Psycho Mantis - forse non tra le migliori idee del mondo ma almeno non si trattava di Pachinko.
Cosa è successo dopo lo sappiamo già. In ottobre il rapporto tra Konami e Kojima si interrompe definitivamente mentre i dipendenti di KojiPro attendevano il loro destino come una spada di Damocle sulle loro teste. Gli intervistati hanno raccontato che la decisione di staccare la spina venne comunicata un giorno, senza preavviso, da dei funzionari giunti in loco appositamente. I membri di KojiPro (oramai Konami L.A.) furono fatti riunire in una stanza e mentre un rappresentante della sede centrale dava loro la notizia altri si apprestavano a staccare i monitor e imballare tutto per portarlo via. "Ci stiamo muovendo verso una politica di accentramento" avranno poi a dichiarare i vertici della software house, questa la versione ufficiale fornita alla stampa. L'ultimo superstite del gruppo, il community manager Robert Peeler si arrenderà quasi due anni dopo, a maggio del 2017, ringraziando i fan per il loro amore e il loro supporto.
Il triste epilogo.
KojiPro L.A. è stata quella che in gergo potremmo definire una meteora. Uno studio che ha brillato immensamente per troppo poco tempo nel firmamento videoludico. Tutto quello che grazie al lavoro di Polygon vi abbiamo raccontato assume oggi un sapore amaro soprattutto dopo le ultime dichiarazioni di Kojima. Adesso conosciamo meglio la storia di un gruppo di volenterosi sviluppatori che, pur di lavorare con il maestro, firmarono un patto con una Konami beffarda, concentrata solo sul guadagno e oramai ridotta ad un'ombra di se stessa. Un gruppo di sviluppatori che pur di continuare a portare avanti l'opera iniziata da Kojima 32 anni fa propose idee forse un po' folli, leggere, lontane dai canoni cui siamo abituati ma che, siamo certi, la loro bravura avrebbe reso unici e divertenti.
La parola passa ai lettori: vi avrebbe fatto piacere vedere questi due capitoli negati? Cosa avreste proposto voi a Konami?
Fonte: Polygon
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