David Bowie: MGPlanet ricorda il Duca Bianco

Si è spento questa domenica 10 gennaio, all’età di 69 anni, uno dei migliori, forse il migliore musicista degli ultimi 50 anni. David Bowie, nei suoi ultimi 18 mesi, ha combattuto un male che non gli ha lasciato scampo, un cancro che lo ha tirato giù dal palcoscenico musicale facendo calare un nero sipario. Un artista eclettico, poliedrico e trasformista: impareggiabile nella musica, dinamico nella recitazione, poetico nella stesura dei suoi testi; è stato definito giustamente un camaleonte, in virtù della sua capacità, comune a pochi, di rinnovarsi, reinventarsi e rimettersi continuamente in gioco a fronte di nuove tendenze musicali sempre cangianti. Di decennio in decennio ha saputo restare protagonista di primo piano dell’arte musicale, influenzando una quantità immensa di artisti, con conseguenze che si vedono chiaramente ancora oggi.

 

 

Nato, come artista, in quello straordinario caleidoscopio di rinnovamento culturale noto come “gli anni sessanta”, David inizia la propria carriera tra le file del folk psichedelico, scontrandosi con diverse insoddisfazioni prima di approdare ad un primo successo, nel ’69, con la canzone Space Oddity: la saga di un’astronauta hippie che si perde nell’esplorazione dello spazio profondo; proprio questi è chiamato Maggiore Tom (Major Tom in originale), un nome che ai fan della saga di Metal Gear dovrebbe far accendere più di una lampadina.

 

“E penso che la mia navicella sappia da che parte andare” - Space Oddity, 1969

 

Al cambio di decennio si dedica appieno al nascente suono del glam rock britannico, ideando il personaggio di Ziggy Stardust, un musicista alieno proveniente da Marte, e dedicandogli un intero album; grazie a lui l’importanza dell’immagine per un artista aumenta vertiginosamente. Nello stesso periodo estende, a fianco del capace chitarrista Mick Ronson, la sua influenza oltreoceano ad artisti come Iggy Pop e Lou Reed, che produce portandoli al successo.

 

 

“C’è un uomo delle stelle che aspetta nel cielo, vorrebbe venire ad incontrarci ma pensa che ci farebbe esplodere la testa” - Starman, 1972

 

 

A metà decennio dismette gli abiti glam e comincia a dedicarsi a progetti più complessi ed audaci. Nasce un nuovo personaggio: il Duca Bianco (in inglese The Thin White Duke). Qui David gioca con vari elementi di musica nera, soprattutto soul, funk e jazz, e collabora con musicisti del calibro di John Lennon.

 

 

“È davvero una sorpresa che io per prima cosa ti respinga?” - Fame, 1975

 

 

A questo punto, normalmente, un artista comincerebbe a stancarsi, iniziando a produrre lavori via via sempre meno convincenti. Ma Bowie è tutt’altro che “normale”. Nel 1977 iniziano i lavori della celebre “Trilogia Berlinese”, la quale, realizzata a stretto contatto con il geniale produttore Brian Eno e con l’influente chitarrista Robert Fripp, rivoluziona completamente la musica rock del periodo, raccogliendo le influenze completamente inedite della musica elettronica tedesca e consegnandole alla nuova generazione appena uscita dal punk, all’ansiosa ricerca di nuove idee.

 

 

“Possiamo essere eroi, solo per un giorno” - Heroes, 1977

 

 

Negli anni ’80 i suoi successi continuano: David si dedica a pieno tempo al blue-eyed soul, il “soul dei bianchi”, genere al quale molti cantanti della sua generazione si dedicano in quel momento. La celebrità è massima, arricchita da collaborazioni con i Queen, con Mick Jagger e con Pat Metheny. Alla fine di questo decennio comincia a muoversi di nuovo indietro verso il rock, suonando con la band Tin Machine, mentre gli anni ’90 lo vedranno tuffarsi stavolta nell’elettronica sperimentale. Altri artisti con i quali collabora in questi anni sono Pet Shop Boys, Arcade Fire e TV On The Radio. Gli ultimi quindici anni non sono stati forse i suoi migliori, fatti salvi gli ultimi due album, pubblicati negli ultimi tre anni: l’uno una nostalgica rivisitazione del passato e l’altro, Blackstar, pubblicato lo scorso 8 gennaio, un testamento profondo e intimista.

 

 

“Guardate quassù, sono in paradiso” - Lazarus, 2016

 

 

La portata di ciò che David Bowie ha fatto, nel secolo scorso e all’inizio di questo, è talmente smisurata che è estremamente difficile parlarne in sintesi. Questo artista straordinario ha segnato in modo indelebile la musica, il cinema, la moda, la poesia... tutto il mondo, ed in qualche modo tutti noi. Canzoni come Heroes, Starman, Ashes To Ashes, Rebel Rebel, Fame o la stessa Space Oddity saranno ricordate tra centinaia di anni con lo stesso incommensurabile rispetto con il quale noi oggi guardiamo ad artisti come Mozart o Beethoven.

 

 

Scritto da Roberto "Otacon" Minasi con la collaborazione di Speakeasy Club

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