EDITORIALE. Vent'anni e non sentirli: i vantaggi dell'autorialità

A cura di Francesco Quaranta

 

Playstation Classic mini, la versione miniaturizzata della prima storica console Sony uscita lo scorso dicembre, ha avuto recentemente un testimonial d’eccezione: qualche giorno fa, infatti, Hideo Kojima ha pubblicato un tweet in cui testa la nuova console giocando al suo Metal Gear Solid, cavallo di battaglia tra i 20 giochi a disposizione della Playstation formato mini.

 

http://twitter.com/HIDEO_KOJIMA_EN/status/1081713277414051845

 

“Ho provato la prima parte di MGS su Playstation Classic, durante le vacanze. Nonostante siano passati vent’anni, sono riuscito a raggiungere con successo l’ascensore e a vedere la schermata iniziale senza essere scoperto”.

 

Ma cosa rende Metal Gear Solid un capolavoro ancora attuale?

Il mondo del gaming ha subito enormi cambiamenti da quell’ormai lontano 1998: le varie generazioni di console che si sono susseguite negli anni ci hanno portato a godere di livelli di realismo all’epoca inimmaginabili, e i videogiochi attuali presentano ormai una vastità di ambienti e una varietà di cose da fare tali da regalarci ore e ore di intrattenimento pur lasciando in sospeso la missione principale. Eppure, un titolo come Metal Gear Solid rimane ancora inarrivabile sotto molti punti di vista.

 

 

Quando il gioco uscì, nel 1998, la Playstation aveva già sfornato titoli che hanno poi fatto la storia della console Sony e dei videogame in generale come, per esempio, Tomb Raider, che esaltava al massimo l’atletismo e la fisicità della sua protagonista, trasponendo lo stereotipo della donna bella e letale, in grado di affrontare da sola ogni tipo di situazione; o Resident Evil, che invece cercava di ricreare in chiave videoludica lo stile dei film di George A. Romero.

 

 

Mentre gli altri videogiochi cercavano di imitare contenuti e tematiche di altri media (il cinema in primis), Metal Gear Solid stravolgeva del tutto le abitudini del videogioco, servendosi del linguaggio cinematografico per dimostrare la piena consapevolezza del medium a cui apparteneva. Kojima si dimostra uno dei primi “autori” in ambito videoludico, e lo fa rompendo la quarta parete, e mettendo in contatto gli elementi irreali ed immaginari del videogioco direttamente con il videogiocatore. Concetto rappresentato alla perfezione dal personaggio di Psyco Mantis, in grado di leggere nella Memory Card della nostra console (espediente tutt’oggi sensazionale), ed ulteriormente esasperato nel capitolo successivo, Sons of Liberty (2002) il tutto condito da trovate di game design sorprendenti e da una regia sbalorditiva, primi passi verso quella perfezione raggiunta poi da Kojima nei capitoli successivi, e sublimata nelle indimenticabili cutscenes degli ultimi capitoli da lui diretti.

 

 

L’autorialità rappresenta quindi un punto cardine all’interno dell’universo videoludico; anche in quello attuale, in cui a dominare sono prodotti dipendenti dalla componente online o multiplayer. E a dimostrarlo è proprio la piega finale presa dalla storica saga, successivamente alla rottura tra Konami e Hideo Kojima. Metal Gear Survive, spin-off ambientato subito dopo Ground Zeroes, e primo capitolo della saga sviluppato esclusivamente da Konami, senza la supervisione del suo storico “padre”, pur essendo un valido survival a tratti “divertente”, è un videogioco vuoto, strutturato sull’emulazione di espedienti degli ultimi capitoli della saga. Causa anche il boicottaggio da parte di una grande fetta di fanbase di Hideo Kojima, il gioco si è rivelato un grandissimo flop.

 


 

Ma a rimarcare l’importanza del “tocco” autoriale ci pensa la lista di videogiochi usciti negli ultimi anni, molti dei quali premiati da pubblico e critica. Dall’ultima opera di David Cage, Detroit: Become Human, a titoli indie del calibro di Hellblade: Senua’s Sacrifice e Celeste, o l’ultimo vincitore dei The Game Awards, il God of War nato dalla mente di Cory Barlog, capolavoro che ricorda, nella regia e nella cura dei dettagli, lo stile del padre di Big Boss, quell’Hideo Kojima di cui lo stesso Barlog si è dichiarato grandissimo estimatore.

 

 

Tutti questi titoli sfruttano le potenzialità di un medium che a differenza di altri, ha il potere dell’interazione, e si confanno, in un modo o nell’altro, ad una concezione di intendere e realizzare il videogioco figlia di quel capostipite che venne alla luce in quel lontano 1998, sull’isola di Shadow Moses, e la cui eredità si spera possa tramandarsi per tanti altri anni e generazioni videoludiche.

Roberto "Otacon" Minasi
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Ha provato ad unirsi al circo all'età di 4 anni. Scartato perchè troppo qualificato si è rifugiato nei videogame passando dal SEGA Master System allo Snes al Game Boy per approdare infine al mondo PlayStation. Appassionato di MGS da quando aveva nove anni, adesso gioca a fare il giornalista con scarsi risultati. Dategli un caffè e vi solleverà il mondo.

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