EDITORIALE. Metal Gear Solid verso il ventennale

A cura di Matteo Capecci.

 

Il prossimo febbraio segnerà un traguardo importante per la serie di Metal Gear e, in particolare, per il capostipite del filone dei “Solid” uscito sul mercato europeo nell’ormai lontano 26 febbraio 1999.

 

In vent’anni di percorso e sviluppo del mercato, delle tecnologie videoludiche nel loro senso più generale, tante cose sono cambiate, tanti brand sono nati e tramontati, lo stesso mondo dei videogiochi ha iniziato  un mutamento importante, andando a creare molto più interesse in fasce di pubblico molto estese, anche grazie all’uscita di titoli che vivono periodi di fortuna e successo, per quanto alle volte passeggero.

 

Eppure il fascino suscitato da opere come Metal Gear Solid rimane immutato anche a distanza di anni; diverse meccaniche, certo, possono subire il peso del passare degli anni, ma l’importanza di un lavoro di tale calibro è anche certificata dal lascito e dallo scossone mosso nei confronti dell’universo videoludico tutto. Alcune scene sono rimaste scolpite in maniera indelebile nei ricordi di tanti videogiocatori, anche a distanza di molti anni. E, con queste, anche le emozioni provate al tempo sono rimaste intatte, come se conservate in una capsula del tempo ferma al primo assaggio delle avventure in tre dimensioni di Solid Snake.

 


 

Noi giocatori allo stesso tempo restavamo spaesati nel nostro primo approccio all’opera: il briefing del colonnello Roy Campbell e l’inospitale Shadow Moses, eccezionale cornice della nostra avventura, contribuivano a farci immergere completamente nella missione, con il nostro team pronto a rispondere alle chiamate Codec per fornirci supporto e informazioni su come procedere. Noi, figli di Doom e di Tomb Raider, stavolta dovevamo dimenticare alcuni paradigmi propri del genere d’azione e degli sparatutto; ricorrere alle armi da fuoco non era più strettamente necessario, mentre fondamentale diventava non lasciare traccia del nostro passaggio, muovendosi silenziosamente e cercando di aggirare il nemico. Questo capovolgimento delle regole lasciava frastornati ma al contempo esterrefatti, perché si aveva la concezione di essere dentro una partita scacchi contro l’intelligenza artificiale, in cui l’astuzia era la nostra bocca di fuoco più potente. Una sfida attiva già dai primi attimi di gameplay, in quella prima stanza in cui abbiamo sperimentato tutti i comandi prima di arrivare al fantomatico ascensore così tante volte che mi sembra ancora di rivedere quegli istanti, chiudendo gli occhi.

 

E c’è Snake che corre dietro a un riparo, il nemico si avvicina, occorre allontanarsi di soppiatto. La pozzanghera? Meglio evitarla, abbiamo scoperto a nostre spese che il rumore dei miei passi nell’acqua farebbero insospettire il nemico. Pattern dei soldati? Difficile prevederli, meglio studiare il loro percorso in prima persona e cercare di sgattaiolargli dietro appena girano l’angolo. Nel peggiore dei casi bisognerà attirarli nella direzione sbagliata – magari bussando su un muro - “What was that noise?”, e via attraverso la stanza. Scende l’ascensore e bisogna aspettare, non si vede nessuno, meglio sbrigarsi.

 


 

Cosa resta oggi di tutto ciò? Di tutte queste emozioni vissute? La risposta in un certo senso è anche custodita in Sons of Liberty, per la precisione nelle parole di Snake sul finale: “Life isn't just about passing on your genes. We can leave behind much more than just DNA (…)Building the future and keeping the past alive are one and the same thing.” , e il lascito del primo Metal Gear Solid è esponenzialmente importante, anche perché si parla del capostipite della saga che ha partorito alcuni tra i videogiochi più iconici di sempre.

 


 

A distanza di tanti anni non si può fare a meno di guardarsi indietro e ricordare con nostalgia i momenti trascorsi di fronte allo schermo con la prima PlayStation, pad alla mano, in un susseguirsi di colpi di scena e con l'introduzione di personaggi, situazioni, frasi, che custodiamo ancora oggi gelosamente nei nostri ricordi, a cui ripensiamo con tanta nostalgia e che vorremmo rivivere un giorno, anche se consci che questo sarà difficile. Ma ci auguriamo ugualmente che tanti possano vivere in futuro quello che abbiamo vissuto noi, per questo è importante ancora di più rendere merito all’importanza di titoli come Metal Gear Solid stesso, titoli che ci rendono fieri di essere videogiocatori e fieri di videogiocare, titoli che ci emozionano quando ne parliamo, titoli che elevano il videogioco e dimostrano quanto questo mezzo possa trasmettere emozioni incredibili, titoli che non abbiamo paura di chiamare opere d’arte.

 

 

Tra le note di The best is yet to come si chiudeva Metal Gear Solid e, forse, sarà anche vero: nella saga di Metal Gear, nel mondo dei videogiochi, nella nostra vita, il meglio deve ancora venire, il meglio deve sempre ancora venire.

 

Ma forse, nel fondo del mio cuore, credo che the best has already come, nell'isola di Shadow Moses, tanti anni fa…

Roberto "Otacon" Minasi
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Ha provato ad unirsi al circo all'età di 4 anni. Scartato perchè troppo qualificato si è rifugiato nei videogame passando dal SEGA Master System allo Snes al Game Boy per approdare infine al mondo PlayStation. Appassionato di MGS da quando aveva nove anni, adesso gioca a fare il giornalista con scarsi risultati. Dategli un caffè e vi solleverà il mondo.

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