L’ultima puntata di Hideotube tratta qualcosa di un po’ diverso dal solito: Kojima e un suo amico visitano il Miraikan (museo nazionale della scienza emergente e dell’innovazione) in occasione del Game On, una manifestazione volta a far provare più di 120 giochi pioneri per quanto riguarda l’innovazione in ambito videoludico, dagli albori fino ai nuovissimi giochi in VR (realtà virtuale). Kojima nel video ne prova alcuni partendo da Pong, simulatore di ping pong oltre che uno dei primi videogiochi ad essere commercializzati, passando a Marble Madness, con il suo controllo “track ball” e la possibilità di giocare in due, e successivamente a Galaga e Mario Brothers, predecessore del famoso Super Mario Brothers, molto caro a Kojima. Quest’ultimo lo stuzzicò a suo tempo sulle potenzialità narrative del videogame, grazie all’espediente del Toad a fine di ogni mondo che profetizza “Scusa, ma la principessa è in un altro castello”, invogliando il giocatore ad andare avanti chiedendosi quando mai la troverà.
In questo pot pourri di videogiochi antichi sarebbe stato interessante vedere un altro gioco che, anche se è considerato uno dei più grandi arcade del suo tempo, oggi è troppo poco ricordato e valorizzato. Parlo di Missile Command, cabinato arcade del 1980 dove bisogna proteggere 6 città controllando 3 basi militari dotate di missili per colpire le bombe che piovono dal cielo, un precoce precursore della filosofia antiatomica che nei videogiochi sarà ripresa anche da Kojima. Ma non è tutto: Missile Command fa quello che Kojima fece anche con Metal Gear Solid 2, ovvero trattare una tematica matura come solo un videogioco può fare, senza scimmiottare il cinema. Superficialmente può sembrare solo un giochino a punti da sala giochi, ma se ci si ferma un attimo a riflettere e se si leggono le interviste del suo creatore, si scopre che è molto di più.
Innanzitutto sul cabinato è raffigurata una testata atomica, indizio del fatto che le bombe che arrivano dal cielo sono effettivamente testate nucleari. Nel gioco non dovremo attaccare nessuno, ma esclusivamente difenderci: avremo il comando di queste 3 basi militari dotate di missili anti-atomici in numero purtroppo limitato e dovremo difendere 6 città dai continui bombardamenti. Si perde la partita quando tutte le città sono rase al suolo. Se nei primi livelli il gioco permette di resistere a questi bombardamenti e proteggere tutte le città e tutte le basi, successivamente la difficoltà si fa sempre più alta e saremo costretti a sacrificare basi o città per non perdere la partita.
Il giocatore (usando l’immaginazione) si immedesima in un comandante di queste 3 basi, che verosimilmente possono essere gestite da una sola persona che dà gli ordini: il compito quindi è a misura d’uomo. Dovete (o meglio, potete) immaginare che in queste basi ci siano tanti soldati ligi al dovere e che queste città siano abitate da milioni di persone; il gioco ci fa fare delle scelte morali poiché i missili non bastano per difendere tutti e il compito risulta tutt’altro che semplice.
Il gioco non ha una fine e avremo sempre meno missili a disposizione ad ogni livello: a un certo punto dovremo per forza sacrificare basi o città, sapendo che stiamo prolungando la vita delle altre solo per un periodo limitato, forse anche solo fino al livello successivo.
Avremo quindi tra le mani la vita dei nostri uomini e di tutti quei civili ma vedremo che alla fine, indipendentemente da quanto siamo bravi o quanto giochiamo, non potremo festeggiare lo scampato pericolo. Il finale infatti è soltanto uno: e non è un game over come in tutti i giochi a punti dell’epoca, no! È qualcosa di decisamente più inquietante: una schermata con scritto The End e un’immagine che preannuncia un’esplosione.
Ma sono le interviste al creatore del gioco Dave Theurer (rilasciate molti anni dopo l’uscita del gioco) a confermare definitivamente che quello che ho detto non è solo tanta immaginazione, ma vera e propria intenzione del creatore. Il gioco si ispira a un suo sogno: egli era infatti comandante di 3 basi americane e doveva difendere 6 città da una spaventosa pioggia di testate atomiche senza fine. Il finale del sogno? Lo possiamo immaginare. A suo dire, lo stesso incubo si è ripetuto una volta al mese per un anno dopo l’uscita del gioco, e le 6 città non erano fittizie, ma si trattava proprio delle 6 città costiere del suo stato di origine: la California.
Missile Command riesce quindi nel compito di trattare con rispetto tematiche quali dovere militare e minaccia nucleare e con 4 pixel in croce comunica più di quello che fanno tanti giochi moderni, nella maniera attraverso la quale solo un videogioco riesce a fare. È un titolo che dovrebbe esser preso come monito da tutti gli sviluppatori di oggi: un esempio perfetto di come per emozionare servono prima di tutto le idee e poi la tecnologia.
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