Rapporto da Iron Mountain

Nel 1966, con la progressiva distensione della Guerra Fredda, il New York Times pubblica un articolo in cui si sostiene che il recente calo del mercato azionario sia dovuto alla “paura della pace”. I massimi vertici civili del governo statunitense reagiscono formando una commissione per analizzare l’ipotesi di un crollo dell’economia del Paese nell’eventualità della fine della guerra. Inoltre, iniziano a discutere iniziative volte al raggiungimento di una pace sana. I risultati di questi studi sono apparentemente troppo inquietanti per essere resi pubblici, tuttavia una copia del rapporto finale viene fatta trapelare ed è nota con il nome di “Rapporto da Iron Mountain”.
Secondo il rapporto, nazioni e società esistono affinché vi possa essere guerra. Senza la guerra, gli stati nazionali nel moderno senso del termine crollerebbero. La guerra, tuttavia, assicura stabilità in senso sociale ed economico, alimentando la povertà e le divisioni in classi. Inoltre, promuove il progresso in campo scientifico e culturale tenendo sotto controllo la popolazione. Di conseguenza, la pace è pericolosa ed eliminare la guerra “non sarebbe quasi certamente nel migliore interesse di una società stabile”.
Queste conclusioni provocatorie alimentano intensi dibattiti fra gli intellettuali americani.
Negli anni '90 emerge tuttavia che l’intero rapporto era una truffa, opera della satira. Nonostante ciò alcuni opinionisti liberali sostengono tuttora che vi sia un fondo di verità in quella convincente argomentazione.

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